Commercio al dettaglio. Secondo uno studio di Confesercenti nel periodo tra il 2007 e il 2016 il numero di esercizi è diminuito di quasi 91mila unità.
L’unico saldo positivo si registra nel Lazio (+2,4%) – Aumentano le difficoltà anche per gli ambulanti
La lunga crisi ha colpito duro il comparto del commercio al dettaglio e portato alla chiusura un negozio su dieci. Nel freddo linguaggio dei numeri si tratta di oltre 90mila imprese del commercio che hanno cessato o cambiato il perimetro dell’ attività. Chi invece non è riuscito nel processo di riconversione ha lasciato esposto sulla saracinesca abbassata il cartello «vendesi o affittasi». Difficile trovare un nuovo inquilino, perché oggi fare il negoziante sembra avere perso fascino e soprattutto convenienza economica.
Maggiori chance, invece, per chi punta sul turismo, aprendo bar, alberghi o ristoranti, le uniche categorie in trend positivo.
«La recessione ha lasciato il segno sul commercio al dettaglio e il turismo con un impatto che è diventato dirompente dal 2011 a oggi, quando alle politiche di austerità si è aggiunto il crollo dei consumi», commenta Massimo Vivoli, Presidente Confesercenti. «L’incremento di ristoranti e bar, infatti, è dovuto alle tante nuove aperture, ma ormai un’ impresa su due chiude entro tre anni, anche a causa dell’aumento della competitività del settore».
Confesercenti ha analizzato l’andamento del comparto dal 2007 alla fine di ottobre 2016, evidenziando la progressiva riduzione delle attività, che ora superano di poco gli 871mila negozi contro gli oltre 962mila attivi prima della crisi. In questo periodo saltano le abituali distinzioni tra Nord-Est, Nord-Ovest e Sud, perché la Regione più colpita è la Valle d’Aosta (-21%), che precede il Friuli Venezia Giulia, la Basilicata e il Piemonte. Il Lazio è l’unica Regione con il saldo positivo: +2,4 per cento.
Situazione opposta per quanto riguarda alberghi, bar e ristoranti. Le attività legate al turismo segnano una variazione positiva di oltre 56mila esercizi, quasi +15% nel periodo. Aperture a raffica nel Lazio (+44%), ma anche in Sicilia (+36%), Puglia (+28%) e Campania (+23%). A ridosso delle Alpi, invece, si trovano tutte le Regioni con saldo negativo: Trentino-Alto Adige (-14%), Valle d’ Aosta (-11%) e Friuli Venezia Giulia (-6%).
«I negozi di prossimità hanno visto crescere la pressione fiscale, che resta a livelli altissimi, e quella competitiva», aggiunge Vivoli. «Poi è arrivata la deregulation totale degli orari e dei giorni di apertura prevista dal “salva-Italia”, che ha favorito la moderna distribuzione, mentre le piccole attività non possono sostenere questa competizione».
Non a caso al primo posto tra le categorie più colpite ci sono i punti vendita del tessile-abbigliamento, calati di un quinto a poco più di 127mila negozi. «Per il settore c’ è stato un calo delle vendite del 40-50% – osserva Roberto Manzoni, Presidente della Federazione Italiana Settore Moda -, perché, oltre a tasse e bollette, tra spesa alimentare, per la casa e per gli smartphone sono cambiate le priorità degli italiani». Senza dimenticare il ruolo delle catene low price e il fast fashion; oggi le famiglie possono permettersi di rinnovare lo stretto indispensabile del guardaroba. Tra i comparti più colpiti seguono ferramenta e costruzioni (-20%) e macellerie-salumerie (-17%) nell’ alimentare.
Scorrendo sempre tra le categorie, spicca anche il calo di un terzo delle oreficerie, delle stazioni di servizio (-24%, ma qui ha giocato un ruolo chiave l’ esigenza di razionalizzare la rete), le profumerie (-17,5%) e le librerie (-17%). Nel processo di rinnovamento dei canali al dettaglio emerge la crescita di quasi il 37% dei negozi che vendono “altri prodotti alimentari”, che sfiorano il traguardo dei 14mila punti vendita. Aumento a due cifre, intorno al 15%, per chi vende bevande e tabacchi.
Il peso della crisi si è fatto sentire per il secondo anno consecutivo anche sul commercio ambulante. In nove anni nei mercatini rionali si è registrata un’emorragia di oltre 20mila operatori (-9,7%), tanto che il totale è sceso a poco più di 194mila.
«È la punta dell’iceberg, perché da un’analisi interna abbiamo scoperto che il numero delle ditte individuali operative si è quasi dimezzato», sottolinea Maurizio Innocenti, Presidente dell’Associazione Nazionale Commercio su Aree Pubbliche (Anva). «Ogni anno c’ è un calo degli operatori del 10%, senza contare il diffuso livello di abusivismo e situazioni “grigie”. Oltre al calo delle vendite, un ulteriore problema è rappresentato dalla mancanza del ricambio generazionale per questo tipo di attività».
L’unico settore in miglioramento (+75%) è quello delle vendite “al di fuori dei banchi e dei negozi”. È la via più moderna del commercio, rappresentato dal canale online e con i distributori automatici.
Nell’abbigliamento, per esempio, chi può cerca di giocare la carta dell’ e-commerce, allestendo un sito, «perché la rivoluzione digitale – afferma Vivoli – rappresenta qualche opportunità per le nostre imprese». Una sfida importante quella di riuscire a coniugare le vetrine lungo le vie con quelle sul web.
di Enrico Netti – Il Sole 24 Ore